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Mantegna e Bellini: Un messaggio di solidarieta’ della Direttrice della Pinacoteca Nazionale di Atene, Marina Lambraki Plaka

INTRODUZIONE DELL’INIZIATIVA DA PARTE DELL’AMBASCIATORE LUIGI MARRAS

Sono tante le manifestazioni di solidarietà che riceviamo ogni giorno. In particolare segnaliamo questa della Direttrice della Pinacoteca Nazionale di Atene Marina Lambraki Plaka che la stessa ci spiega nella sua lettera che segue. Ne siamo grati e contenti di inserirla tra quelle dell’iniziativa Tempo Forte che per il momento resta viva online.

Luigi Marras

 

Signor Ambasciatore,
caro amico,

spero e mi auguro che questa lettera trovi in piena salute Lei e la Sua famiglia, a seguito di questa pandemia catastrofica che ha colpito in modo così duro il popolo della nostra amata Italia.
Nel corso di questi giorni di disperazione pieni di sentimenti di simpatia verso il popolo italiano voglio dedicare questi pensieri al popolo fraterno della mia cara Italia che con la sua grande arte ha nutrito il mio spirito e il mio cuore.
Questi testi sono stati caricati anche su Facebook e sul sito ufficiale della Galleria Nazionale di Atene – Presentazioni digitali.
Glieli inoltro, adesso che il pericolo sembra allontanarsi, nel caso che Lei non li abbia visti.
Voglia gradire i miei migliori auguri per la Sua salute personale e quella dei Popoli dei nostri due Paesi.
Con grande amicizia,

Prof.Marina Lambraki Plaka
Direttrice della Pinacoteca Nazionale
Museo Alexandros Soutsos

 

 

SALUTO AL POPOLO SOFFERENTE D’ITALIA
E SPECIALMENTE AI CITTADINI DI MILANO,
CITTA’ CHE OSPITA QUESTI CAPOLAVORI
NELLA RINOMATA PINACOTECA DI BRERA.
CON I MIGLIORI AUSPICI PER UNA PASQUA CHE PORTI
SPERANZA E SOLLIEVO A TUTTA L’UMANITÀ.

GIOVANNI BELLINI E ANDREA MANTEGNA
DUE IMMAGINI RINASCIMENTALI
DELLA DIVINA PASSIONE

Non riesco ancora a dimenticare la forte emozione che ho vissuto quando ho visto per la prima volta il Cristo morto di Andrea Mantegna (ca. 1431-1506), conservato nella Pinacoteca di Brera di Milano. Sono trascorsi molti anni da allora, ma quei sentimenti riafforano sempre in me. Ogni volta che passo dalla città del nord Italia vado ad adorare questa immagine di assoluto dolore umano. E non smetto di soffermarmi, un po’ più avanti, di fronte a un altro dipinto, altrettanto espressivo, con lo stesso soggetto: la Pietà di Giovanni Bellini (ca. 1435-1516).
Pittori e opere sono associati da molti legami. Mantegna aveva sposato la sorella di Giovanni Bellini, Nicolosia, e si era imparentato con la grande famiglia artistica di Venezia. I due eminenti pittori si scambiarono esperienze e si influenzarono a vicenda. Il disegno fortemente netto di Mantegna, che conferisce alle sue figure una precisione metallica come se fossero incise sul rame, attrasse per un periodo nel suo manganese il tenero Giovanni, il pittore che avrebbe in seguito inaugurato lo stile bianco e atmosferico della Scuola veneziana, come insegnante di Giorgione e Tiziano.
Parenti i pittori, similari anche le opere. Entrambe sono state dipinte con la tecnica della tempera. Solo che l’opera di Mantegna è dipinta su tela e non su legno, come sarebbe adatto a questa tecnica medievale, seguita fedelmente da Giovanni Bellini. La Pietà (ca. 1460) del pittore veneziano testimonia il debito con Mantegna. Entrambi i pannelli sono progettati con precisione nitida e una gamma cromatica similare. Ma le somiglianze si fermano qui.
Sebbene esprima un’intensa passione, la Pietà di Giovanni Bellini è un’opera classica. I tre volti dei santi, il Cristo morto, la Vergine Maria e San Giovanni, conservano la loro classica bellezza, nonostante il dolore che li paralizza. La disposizione frontale delle figure e la lastra di marmo orizzontale nella parte inferiore del quadro creano una composizione senza profondità, secondo le regole classiche. Brividi di emozione trasmette il volto tormentato di Cristo con la sua bocca semiaperta e gli occhi infossati, mentre si piega a toccare la guancia di sua madre, infossata dal dolore. La mano forte della Vergine Maria stringe la mano inanimata di Cristo su un corpo che sembra essere stato studiato partendo da statue antiche. La mano sinistra del Salvatore cade inerte sulla lastra di marmo, proiettando un’ombra che la avvicina molto allo spazio reale. Le ferite della crocifissione avvicinano la partecipazione dello spettatore al dramma divino. L’iscrizione latina che accompagna la firma del pittore rivela la sua intenzione di suscitare forti sentimenti nei fedeli: “Questi occhi gonfi causeranno sospiri e questo lavoro di Giovanni Bellini porterà fiumi di lacrime agli occhi”.

Il Cristo morto (ca. 1483) di Mantegna non trasuda lo stesso classicismo. In quest’opera, il realismo borghese e lo spirito scientifico che caratterizzano la ricerca artistica del Quattrocento si fondono in una composizione con la massima intensità drammatica. Il modello è un uomo maturo, per nulla divino, un lavoratore, diremmo con audacia anacronistica, nonostante l’aureola che circonda la sua pesante testa quadrata. Il corpo atletico di Cristo giace su una lastra di marmo rosa, che rimanda, come è stato sottolineato, alla sacra reliquia della pietra dell’unzione conservata fino alla caduta di Costantinopoli nella chiesa dei Santi Apostoli. In questa targa di marmo rosa, “schiacciata dalle lacrime bianche della Vergine Maria”, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea avevano deposto il corpo di Cristo per ungerlo con la mirra dopo la deposizione dalla croce. Il turibolo si distingue nel dipinto di Mantegna appoggiato sul piatto accanto al poggiatesta di Cristo. La lastra di marmo fu trasportata a Costantinopoli nel XII secolo durante il regno di Manuele Comneno da Efeso, quando, secondo la tradizione, fu portata da Santa Maddalena. L’immagine della pietra dell’unzione è riconosciuta dagli studiosi di rappresentazioni bizantine, come l’epitaffio ricamato in oro del XII secolo conservato presso il Museo di San Marco a Venezia.
Lo spettatore vede la sacra reliquia di Cristo da un’angolazione completamente inaspettata, dalle piante dei suoi piedi tormentati dalle ferite, che si sporgono più avanti della lastra, invadendo quasi lo spazio reale. Il corpo di Cristo, coperto da un sudario bianco dai toni verde chiaro che si armonizzano con il colore eterico della morte, è stato rappresentato con una prospettiva potente. La prospettiva sembra perfetta, estremamente convincente, ma non lo è. La testa e il busto non si riducono di scala quando si allontanano dal nostro campo visivo, ma si allargano gerarchicamente.
Una simile immagine potrebbe essere data a noi da una figura umana sdraiata se la osservassimo non da vicino, ma da lontano con un teleobiettivo. Ma ancora una volta, le correzioni visive dell’artista resterebbero inspiegabili secondo una prospettiva geometrica. La prospettiva, che costituì una vera religione per gli artisti del Rinascimento, non li ha mai ridotti in schiavitù. Al contrario, dal primo momento in cui Brunelleschi e Alberti l’hanno scoperta, all’inizio del Quattrocento, i pittori riuscirono a sottometterla ai propri scopi espressivi. Nel Cristo morto di Brera, il Mantegna, con l’aiuto della prospettiva, è riuscito a darci una concentrazione esplosiva di passione divina. Le tre persone in lutto, la Vergine Maria, San Giovanni e Santa Maddalena, viste in fondo al dipinto a sinistra, dipinte con un realismo incomparabile, sottolineano la dimensione umana del dramma divino.

Marina Lambraki-Plaka
Docente di Storia dell’Arte
Direttrice della Pinacoteca Nazionale

TAVOLE
Giovanni Bellini, Pietà, ca. 1460, tempera su legno, 86×107 cm., Pinacoteca di Brera, Milano.
Andrea Mantegna, Cristo morto, ca. 1483, tempera su tela, 68×81 cm., Pinacoteca di Brera, Milano.